mercoledì 27 gennaio 2021

RECENSIONE "la tregua" di Primo Levi


La giornata della memoria è qui. Un giorno in cui non bisogna dimenticare. Non bisognerebbe mai scordare, per nessuno dei 365 giorni che compongono l'anno. Ma il 27 gennaio dobbiamo riunirci tutti per commemorare le vittime dell'Olocausto. Vittime della follia di un uomo-sì, va chiamato uomo-e del potere dal quale i suoi alleati erano accecati. Tutti sapevano e nessuno ha parlato: è stata l'omertà la più grande alleata di Hitler. 

Primo Levi, per le sue origini ebraiche, è stato catturato e mandato ad Auschwitz. Non è morto per le mani dei tedeschi, né per il lungo e stremante viaggio di ritorno, ma per la sua stessa mano e mente, offuscata e distrutta dal dolore e dalla disumanità che ha vissuto nel campo di concentramento.

Il libro di cui vi voglio parlare oggi è La tregua, il secondo volume, preceduto da "Se questo è un uomo", in cui Levi e i suoi compagni vengono liberati dall'armata russa. Ci vogliono ancora parecchi mesi per ritornare a casa e solo perché è stato liberato non significa che il suo incubo è finito, anzi. Più volte rischierà di morire, e non solo lui, e più volte dovrà faticare per sopravvivere, per ottenere acqua e cibo e dei vestiti. 

Durante questa Odissea, Levi incontra molte persone che lo aiutano e lo arricchiscono in un modo o nell'altro e sembra quasi aver ritrovato l'umanità e il calore umano che il campo di concentramento gli aveva tolto. Ma il ricordo è vivo, ora più che mai. Levi ce lo spiega nelle ultime pagine del libro: è a Torino, è a casa, ma è solo in un ambiente spoglio in cui  le pareti fredde non fanno altro che fargli venire in mente quello che lui ha vissuto. E' a casa, il suo corpo è a Torino, ma la sue mente e la sua anima non dimenticano e non possono cancellare quello che gli è accaduto. Durante il viaggio di ritorno, era sempre in compagnia, ora che si trovava da solo, non poteva fare a meno di pensare. E a volte sono i nostri stessi pensieri che ci distruggono lentamente e ci portano alla deriva. Primo Levi ha posto fine alla sua vita il giorno 11/4/1987, e ha spento così i suoi pensieri.

Un libro straziante che in alcuni punti faceva intravedere ai lettori un barlume di speranza. Speranza di cui Levi e i suoi compagni avevano bisogno. Tutti loro avevano il desiderio di ricominciare da capo e di dimenticare quello che gli era successo. Ma la memoria è un bene prezioso che dobbiamo preservare a tutti costi, e Levi lo fa di continuo dopo il suo ritorno: parla di quello che i nazisti gli hanno portato via nei libri e nelle scuole. Perché, nonostante tutto, non bisogna mai dimenticare.

Leggere Primo Levi mi costa sempre perché devo sedermi e fare i conti con il privilegio in cui la mia vita è sommersa, ho vestiti, cibo, una famiglia che mi ama, degli amici di cui non potrei fare a meno, nessuno mi minaccia o tortura per le mie origini, il colore della mia pelle, la mia religione e i miei ideali politici. Dovrebbero essere diritti, ma di fatto non è così, si tratta di privilegi di cui ancora troppe persone sono prive e che la comunità ebraica, incluso Levi, non aveva. 

Al contrario di quello che si può pensare, Hitler ha rubato le persone della loro dignità poco tempo fa: non sono passati nemmeno cento anni dalla strage della Seconda Guerra Mondiale, e nessuno di noi può permettersi di dimenticarsi, mai.

Non darò una valutazione a "la tregua" ma vi consiglio di sedervi comodi sul vostro divano e di immergervi nel passato cruento di Primo Levi.


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