domenica 17 settembre 2017

Tra ricchi e poveri

I posti per le tac sempre disponibili, non ci sono attese di nessun tipo e persino la laurea non è poi un obbiettivo così arduo da raggiungere, e i master? Stesso trattamento: si supera senza problemi. 
Un'utopia, non è così?
O meglio, per la maggior parte di noi tutto questo sembra un sogno irraggiungibile, ma per alcuni di noi, diletti e fortunati, questa è la descrizione della propria vita quotidiana.
In fondo perché bisognerebbe lavorare per qualcosa quando quel qualcosa è alla propria portata? Non è forse nell'indole umana cercare la via più facile e percorrerla?
Quando si è i cosidetti "figli di papà" non c'è nulla che possa realmente preoccupare: tutto è facile ed  è stato insegnato loro fin da piccoli che il denaro, per gente così insigne, non ha un vero e proprio valore. Mille euro al giorno si spendono con facilità senza la minima preoccupazione di arrivare a fine del mese perché per loro non c'è nulla di simile al "fine mese". Non è importante imparare il valore del cibo perché ne si ha una quantità più che abbondante. I figli di papà hanno la fortuna di poter attingere dal nome della loro famiglia senza però lavorare sodo (come i loro padri o nonni) per portare avanti con onore il nome di famiglia.
Poi c'è l'altra faccia della medaglia: gente che lavora duramente per tutta la vita per poi non godere a pieno delle gioie che essa stessa concede. Per i figli appartenenti ad un ceto medio diventa sempre più difficle accedere alle università migliori, questo implica il non poter ambire a professioni più elevate e questo porta all'incapacità di migliorare la propria posizione sociale. È un circolo vizioso che, secondo una recente ricerca, non avrà fine: la ricchezza è presente nelle stesse famiglie da 7 secoli a questa parte: chi nasce povero, quindi, rimarrà tale, chi nasce da una famiglia benestante potrà godere del nome di essa senza però contribuire concretamente al benessere della società.

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